IL CONTO DELLA SERVA E I SERVI PITOCCHI

CFS e CC sono due strutture diverse, con caratteristiche di impostazione opposte, di cui quella più “forte” e militare, dovrebbe assorbire il personale di quella civile. Tralasciamo la questione del forzoso passaggio da status civile a militare che sarà oggetto di ricorsi che costeranno tempo e danaro, per occuparci di quei funzionari fiduciosi di transitare con il loro grado (stellette, torri, greche e titoli vari) nella prestigiosa Arma dei Carabinieri 
 
Gli ufficiali dei CC in accademia svolgono i primi anni di corso nelle file dell’esercito per acquisire la cosidetta rigatura ossia quella impostazione militarista che si terranno tutta la vita e provengono da un iter di addestramento, corsi, comandi, missioni, spostamenti di sede etc. che li qualificano per i passaggi a gradi superiori in una selezione abbastanza complessa e funzionale alla specificità dell’Arma.
I Funzionari del CFS hanno seguito un iter totalmente diverso, ben lontano dall’addestramento militare e di comando dei CC tanto che molti  che si fregiano a pieno diritto nel CFS di gradi elevati, non hanno neanche fatto il militare.
Quando saranno comparati con gli ufficiali CC si opererà logicamente una distinzione e probabilmente sarà in forma riduttiva, almeno finché non sarà percorso quell’iter addestrativo e di integrazione che sarà previsto.
Si rischia di mortificare i funzionari che ottimamente ricoprono il ruolo relativo al loro grado ovvero hanno a pieno titolo il grado relativo al loro ruolo.
 
 Ad esempio, un funzionario CFS con i gradi da generale con una età sopra i 55 anni sarà ‘assorbito’ col suo grado? o gli confermeranno quel grado solo dopo l’addestramento integrativo ( e quanto durerà) ? o semplicemente gli metteranno un fregio distintivo di una categoria destinata all’esaurimento con tutte le conseguenze pratiche del caso?
Il funzionario CFS con i gradi da tenente colonnello o colonnello, privo di esperienza militare sarà mandato ad addestrarsi con i tenenti ventenni in accademia o avrà un fregio particolare per evidenziare che quel grado è di provenienza diversa dall’Arma, anche qui con tutte le conseguenze pratiche del caso?
Questione ben difficile da risolvere senza scontentare tantissimi e senza vuoti di comando ed organizzativi che dureranno molti e lunghi anni.
 
Inoltre nel CFS non esistono i gradi dell”ufficiale inferiore: chi andrà a coprire questa carenza nell’attesa della formazione dei futuri tenenti e capitani dell’Arma designati al ruolo Forestale? Si avrà un vuoto per qualche anno, oppure, nell’attesa, l’attuale Stazione Forestale farà semplicemente riferimento alla Compagnia dei CC già sul territorio?
 
Sul versante opposto le 96 unità del personale aeronavigante trasferite d’autorità nei Vigili del Fuoco saranno penalizzate al punto da essere costrette a perdere tutte le qualifiche di poliza giudiziaria e di pubblica sicurezza ?
 
Quale sarà l’organizzazione sul territorio della struttura Comando tutela forestale? 
Continuerà ad esistere un comando a Roma, ma nulla è dato sapere sul numero dei comandi interregionali e dei comandi interprovinciali, né sulla riduzione o conferma del numero delle stazioni. 
 
Se anche l’attuale rete di reparti CFS sul territorio rimarrà sostanzialmente invariata, almeno fino al 31.12.2024, tuttavia nelle tabelle dei numeri d’organico complessivo allegate ai decreti attuativi, mancano le dotazione d’organico per specialità.
 Ovvero delle famose 5W  non sappiamo né CHI, né DOVE, né COSA , né QUANDO ; invece il mistero (doloroso) del PERCHE’ è segreto di Pulcinella.
Curiosamente l’unico dettagliato con precisione è il personale che rimarrà in servizio presso il Mipaaf; tuttavia sfugge con quale operatività dato che è costituito da quadri dirigenziali e ruoli tecnici senza neanche uno (1) agente. Questo l’elenco: 1 dirigente generale, 6 primi dirigenti, 4 vicequestori aggiunti, 2 commissari capo e 34 civili.
 
In sintesi: sparisce l’antico Corpo Forestale, si disperde l’indisciplinata truppa e un esercito di giovani altiufficiali rampanti porta aria nuova tra i vecchi e gloriosi alti gradi dei CC!
Peccato che l’Arma sia sì in sottorganico ma in surplus di generali e colonnelli !
Già oggi che i carabinieri sono 110mila ci sono 97 generali (1 generale ogni 1134 carabinieri); domani con il CFS assorbito i generali saranno 114 con un probabile aumento d’unità di sole 3mila forestali (più o meno, considerando inidonei, attori di ricorsi e richiedenti altra amministrazione). 
[Per avere un termine di confronto:
ITALIA: 425 generali per 178.000 militari (1 generale ogni 419 militari)-
USA: 900 generali per 1.408.000 militari (1 generale ogni 1565 militari)
 
E proprio uno dei generali CC di troppo, tale Alberto Mosca, si è fatto latore della questua del suo collega carabiniere in servizio all’ambasciata in Macedonia con stile
da caporale di giornata. Inetto a stimare l’onore della divisa, ha valutato il vestiario da dismettere con mentalità da stracciarolo e modi pitocchi.
L’Italia è mortificata di fronte alla sua Storia e alla patria della civiltà ellenistica,  perché purtroppo chi di accademie ha frequentato solo quella militare non sa di greco e di latino e gli attuali ufficiali di carriera hanno mantenuto solo i modi sprezzanti senza l’educazione da gentiluomini che condividevano anticamente con gli ufficiali di complemento.  Forse i Carabinieri per voler essere troppo, alternativamente sono troppo poliziotti o troppo militari, difficilmente civili.
 
Beffardamente i Forestali, piuttosto, faranno coriandoli delle loro divise! coriandoli da buttare in faccia a quelli che in qualsiasi abito si prestano a questa pagliacciata, disonorando TUTTI i gloriosi Corpi bicentenari fondati dai Savoia.

prof. Antonella Giordanelli

PER COLPA DEL PIFFERO

Ho sognato un incubo:
Apprezzata ed applaudita dal pubblico in auditorium stavo tenendo un concerto cameristico di chitarra classica  il cui timbro, cantabile e pastoso, ma delicato, non è adatto ai grandi teatri lirici. Arriva sul palco l’impresario a congratularsi annunciando che, per una questione di budget, il mio complesso da camera sarà soppresso e dovrà entrare in un’ orchestra sinfonica, escluso i cantanti già destinati in un coro;  diventando orchestrale devo abbandonare la chitarra, ma forse potrei provare a suonare un qualche altro strumento a corde, forse in una sezione dei violini … no, no arpe e archi non mi vogliono…. l’impresario frettolosamente m’infila tra gli strumenti a fiato…oddio in una fanfara militare! aiutoooo, si può obbiettare? ma daì il teatro pubblico è grande! fa’ domanda chessò come ballerina classica, o attrice drammatica, o scenografa, o costumista, o illuminotecnica, o  truccatrice o guardarobiera, o maschera, o serva di scena, o addetta a…. cesso per cesso (già te e la tua chitarra vi ci hanno buttata nel cesso) ….. ma nooooo, dai, i colleghi militari, ma strumentisti!,  paternalisticamente ai chitarristi faranno suonare il flauto in un’apposita banda………il flauto, io l’ho sempre amato ascoltare, ma adesso me lo vogliono far suonare per forza ‘sto strumento che Mozart chiamava la sputacchiera …. ma a sputarmi addosso è il direttore della banda che mi dice che ho i denti storti e l’imboccatura che neanche per i piatti e la grancassa………..Mi son svegliata di soprassalto e son corsa felice a suonare quello che nella realtà è lo strumento su cui ho costruito le mie mani in una vita di passione e dedizione ! mi sono seduta al mio pianoforte a coda, sopra era poggiato il compiuter su cui ho letto :
 
Questa pseudo riforma, oltre ai danni certi qualora dovesse andare in porto ha provocato di sicuro degli effetti devastanti anche sotto altri punti di vista. Ha creato, fatta eccezione per qualche frustrato, uno scoramento ed una sensazione di tradimento nell’animo di un’intero gruppo di persone che, chi più e chi meno, ha lavorato sempre in silenzio, senza enfasi ma con passione, per il bene comune, per la salvaguardia delle tradizioni agro-silvo-pastorali, per il bene dell’Italia perchè in fondo l’Italia non è Milano, Napoli o Roma ma tutt’altro. E’ una miriade di piccoli comuni che spesso con le realtà metropolitane ha poco a che fare. Quegli uomini che fino ad oggi hanno sempre visto con favore la collaborazione con altri Corpi di Polizia ma che oggi, solo ad incrociare una pattuglia dei CC sente dentro di sé quella sensazione, per carità non nei confronti degli operatori locali, che quella amministrazione ci sta divorando, ci sta derubando delle nostre centenarie tradizioni, della nostra divisa, della nostra bandiera, delle nostre esperienze, del nostro timbro sulla scrivania, del computer aggiornato dal singolo forestale volenteroso, delle lampadine acquistate dal forestale e non dall’amministrazione, della sedia aggiustata a proprie spese.

Ecco, queste sono le sensazioni.

E da parte dei cittadini? Bè non è simpatico andare in servizio e sentirsi guardare quasi con compassione. Si perché il cittadino non è contento per la nostra scomparsa ma prova pena per noi ma anche per l’intera nazione che perde un qualcosa di utile che forse non troverà mai più.

E gli altri, i Carabinieri, cosa provano adesso? Qualcuno, ovviamente quelli intelligenti e non le marionette che si muovono solo al comando, quelli sono dalla nostra parte, gli altri, quelle definite marionette già prima si sono sempre sentite superiori a noi e figurarsi ora che ci stanno fagocitando ( non nascondo, per far capire il livello di queste persone, che si chiedono come possiamo diventare carabinieri visto che loro hanno giurato fedeltà alla patria………..). E ad accorpamento avvenuto cos’altro potranno pensare di noi.

 
Chi non sa leggere tra le righe potrà pensare, seguendo questi nostri gruppi  https://www.facebook.com/groups/salviamoilcorpoforestale/  , che siamo contro di loro, che odiamo l’Arma ma non è così.
Noi non odiamo l’Arma, noi semplicemente ed umilmente amiamo il Corpo Forestale dello Stato.
 
Ecco quindi, questa riforma è stata capace di creare una sorta di “scontro istituzionale”.
Uno scontro che non terminerà di certo ad assorbimento avvenuto ma ahimè, avrà fine quando l’ultimo Forestale vero andrà in pensione e il bagaglio di esperienze da lui acquisite andrà perso per sempre.
 
Grazie Renzi, anzi no, grazie politici tutti.
 
 

prof. Antonella Giordanelli

ITALIA ALLE ORTICHE!

CFS alle ortiche

Il disegno di legge Madia accorpa il Corpo Forestale dello Stato ai Carabinieri. Si perde una professionalità maturata dal 1822.
I Forestali sono solo otto anni… più giovani degli stessi Carabinieri. I Carabinieri sono un’Arma meravigliosa, una delle ultime istituzioni serie in questo sfortunato Paese di cui ci si può fidare per professionalità e senso dello Stato tanto che sono amatissimi dagli italiani, me compreso, ma ce li vedete a distinguere, negli aeroporti, le specie tutelate dalla CITES e quelle libere? a distinguere le cozze “veraci” importate dalle Filippine? a diagnosticare le malattie degli ulivi e dei pini? a stabilire se un albero è pericolante o no? ad accogliere nei loro rifugi gli iguana, i panda e quant’altro sequestrati ai turisti? o le aquile e le volpi ferite? A spegnere gli incendi sui campi e tra i boschi? I CC sono una stupenda forza di polizia, ma appunto con cultura e mentalità di polizia.

Il CFS è un soggetto soprattutto dedito allo studio come precondizione e presupposto per il conseguente intervento ambientale florofaunistico che necessita di conoscenze e specializzazioni che nessuno ha in Italia. Nessuno forse ricorda Alfonso Alessandrini, mitico Capo del Corpo per 15 anni, autorità indiscussa in campo mondiale nella ricerca, studio, salvaguardia delle specie arboree? Possibile che nessuno comprenda che la cultura di un Corpo dello Stato non si crea in pochi giorni, che così facendo la tutela e la protezione del nostro patrimonio ambientale andranno alle ortiche? Non certo per insipienza dei Carabinieri, ma semplicemente perché non è il loro mestiere e prima che lo diventi passeranno, come per il CFS, decenni e decenni.

La riforma, sia detto con estrema chiarezza, non è nemmeno commentabile quale legittima opinione, non ne ha la dignità, è solo semplicemente e chiaramente una idiozia madornale! Lo capisce chiunque, salvo il nostro super esperto ministro della Pubblica Amministrazione.

Altra norma: tutti (ripeto TUTTI) gli uffici periferici di tutte (ripeto TUTTE) le amministrazioni dello Stato confluiscono nell’Ufficio Territoriale dello Stato (cioè le Prefetture). Ad eccezione degli uffici giudiziari (bontà loro) e di quelli militari (ci mancherebbe altro!), ma compresi gli uffici periferici dei Beni Culturali. Non ci credete? Leggete l’art. 7 (“Riorganizzazione dell’amministrazione dello Stato”), comma 1, che prevede: “il Governo è delegato ad adottare… decreti legislativi per modificare la disciplina …dei Ministeri, …nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: … c) …trasformazione della Prefettura-Ufficio territoriale del Governo in Ufficio territoriale dello Stato, quale punto di contatto unico tra amministrazione periferica dello Stato e cittadini (cioè: il front office di tutte le amministrazioni diviene la Prefettura); attribuzione al Prefetto della responsabilità dell’erogazione dei servizi ai cittadini…(di tutti i servizi statali); confluenza nell’Ufficio territoriale dello Stato di tutti gli uffici periferici delle amministrazioni civili dello Stato…” (confluire = entrare a far parte di un’organizzazione già esistente, Zingarelli).

Con un quasi inavvertito, ma in effetti rivoluzionario colpo di mano, “tutti gli uffici periferici delle amministrazioni civili dello Stato”, cioè tutte le amministrazioni dello Stato, escluse solo quelle militari e giudiziarie, passano alle dipendenze delle ex prefetture e diventano sostanzialmente organi periferici del Ministero dell’Interno dal quale dipendono a loro volta le prefetture, che diverrebbe così l’unico ministero con articolazioni periferiche ricomprendente tutte quelle degli altri ministeri.
Limpido esempio di funzioni esercitate con lo strumento dell’avvalimento da parte degli altri ministeri (qualcuno in Parlamento e al Governo ha una vaga idea di che cosa io stia parlando?) in violazione dell’articolo 95, comma 2 della Costituzione perché sottrae ai singoli Ministri competenti (in senso amministrativo, eh!) la responsabilità politica della gestione del LORO ministero.
Fra gli uffici che confluiscono negli Uffici territoriali dello Stato come organi da essi dipendenti sarebbe quindi necessariamente compreso tutto l’apparato periferico del MiBACT, cioè le soprintendenze etc. Oltre cento anni di organizzazione dei beni culturali, dal Ministero PI a quello attuale, buttati nel cesso da un momento all’altro. Il concetto è diverso da quello tentato a suo tempo con il disegno degli UTG, che avevano solo compiti di coordinamento, per altro fallito. Se la lingua italiana non è usata dal Legislatore per approssimazione (ipotesi per altro non peregrina) questa riforma vuol dire proprio un cambio di amministrazione gerarchica per tutti gli uffici periferici.
Chi l’ha votata non se ne è accorto? E’ affetto da analfabetismo di ritorno che gli impedisce di comprendere la lingua di Dante? Oppure ne era consapevole? Forse non si voleva dire questo? Allora rifacciamo a tutto il Governo e al Parlamento l’esame di maturità soprattutto nella sezione: comprensione del testo.

Sorge il sospetto che la causa di tanto sciagurato disastro non sia tanto l’ignoranza crassa, supina ed affettata che trasuda da tutto ciò, ma soprattutto che sia la proterva, arrogante, sfrontata, supponente volontà di rottamare l’organizzazione statuale precedente per potere affermare di avere “fatto le riforme”.
Il contenuto di queste, poi, è del tutto irrilevante: “me ne frego!”.

Ci sono voluti oltre centocinquanta anni per creare un Corpo specializzato di livello internazionale? Me ne frego! Tutti i Paesi occidentali hanno corpi di polizia ambientale e forestale specializzata (tipo rangers americani per intenderci)? Me ne frego! L’organizzazione del MIBACT è invidiata e copiata all’estero? Me ne frego! Si verifica un accentramento di potere amministrativo nel Ministero dell’Interno che stravolge completamente un assetto equilibrato e la Costituzione? Me ne frego!
In questo parossismo distruttivo, in questa paranoia del nuovo e diverso a tutti i costi e a prescindere dai contenuti, si creano vuoti di potere che sono riempiti dai più svelti e abili: è l’horror vacui, ferrea legge in politica. Gli equilibri faticosamente creati saltano, ma io me ne frego! Meno male, però, che almeno se facciamo queste riforme, poi ci abbassano le tasse.
Vi prego andate su questo indirizzo e meditate: http://www.leopardi.it/canti01.php e scusate la lunghezza: oggi, 24 luglio, sono esasperato!

Claudio Zucchelli, presidente Archeoclub d’Italia
Consigliere di Stato e Giudice componente la commissione tributaria del Lazio;
Capo Dipartimento degli affari Giuridici e legislativi della presidenza del Consiglio dei Ministri.

DIETRO IL RISO DELLA MASCHERA FACCIALE SOFFERENZA E SCHIAVITU’

Tra coloro che potrebbero gioire per la scomparsa del Corpo Forestale dello Stato non mancherà la proprietaria del delfinario di Rimini, chiuso nel 2013 in seguito a ispezioni che portarono al sequestro preventivo dei quattro delfini detenuti, con pesanti accuse di maltrattamento che gravano sull’allora legale rappresentante e la veterinaria

Ricostruiamo gli eventi: nell’agosto 2013 Alfa, Sole, Luna e Lapo sono rinvenuti dagli agenti del Servizio Centrale CITES in condizioni di sofferenza, sottoposti a trattamenti a base di Valium e ormoni e detenuti in una struttura con gravi mancanze per la detenzione dei cetacei (“carenza di un adeguato sistema di raffreddamento e di pulizia dell’acqua, nonché vecchie vasche di contenimento irregolari non adatte a consentire un adeguato movimento dei tursiopi e a garantirne la salute fisica e psichica, costretti ad una convivenza coatta nel gruppo sociale dove erano inseriti” – dal comunicato stampa del CFS).La proprietà del delfinario, nella persona di Monica Fornari, dichiara sin da subito di essere vittima di persecuzioni e “poteri oscuri” che tramano contro la vasca posta sul lungomare riminese, dimenticando che al delfinario era stato sin troppo concesso, essendo privo della licenza di “giardino zoologico” necessaria a detenere i delfini e avendo quindi tenuto aperto abusivamente dal 2001.

Nel 2014 il delfinario, forte di una licenza da “spettacolo viaggiante”, colloca una piattaforma nella vasca e riapre al pubblico esibendo tre otarie, animali non inseriti nelle normative CITES e meno protetti dalle leggi rispetto ai cetacei.
Durante la stagione estiva più volte gli elicotteri della Forestale sorvolano il delfinario per verificare le condizioni della struttura e la Fornari, supportata da Federfauna, grida al “fumus persecutionis” come se non fosse più che normale che una struttura dalla quale sono stati sequestrati documenti e 4 animali con ipotesi di maltrattamento venga controllata nel tempo.

A metà stagione turistica il Ministero dell’ Ambiente intima allo Zoo Safari di Fasano di riprendere le otarie addestrate e “noleggiate” all’ex delfinario di Rimini, poichè il fine conservazionistico di uno zoo non coincide con quello di un circo (al quale è oramai annoverabile il delfinario); sia lo Zoo Safari che il delfinario fanno orecchie da mercante (in inglese: businessman), come, da sempre, anche il sindaco Andrea Gnassi (PD-laureato all’Università di Bologna, al Dipartimento Economico di Scienze Politiche) che ha rilasciato nel tempo qualsivoglia licenza al delfinario, benché, tra l’altro, l’Autorità di Bacino non abbia mai autorizzato la costruzione sull’arenile del vascone in cemento con gradinate in cui si svolge l’attività di “spettacolo viaggiante”.

Così Monica Fornari si guadagna la sua ennesima stagione di spettacoli offerti nel pacchetto turistico delle navi da crociera ad un pubblico che sbarca a Rimini “mordi e fuggi”.

Marzo 2015: con il processo alle porte il delfinario di Rimini riapre, facendo esibire ancora tre leoni marini, ma questa volta provenienti da un circo.

ORA, dopo la prima udienza del 7 maggio rinviata per un vizio di forma, il 28 gennaio 2016 è ripreso il processo: rappresenterà una tappa  importante nella storia dei diritti animali poiché il Corpo Forestale dello Stato ha attuato non solo il primo sequestro di tursiopi da un delfinario in Europa, ma anche un impianto investigativo assolutamente unico…..e Monica Fornari non se la riderà più! nonostante ormai la spending reveaw (revisione della spesa pubblica) favorisca qualsivoglia job act (atto di lavoro) d’ogni slaveholders (schiavista) e slavetraders (mercante di schiavi).
 
prof. Antonellla Giordanelli
(In foto: il delfinario, il giorno del sequestro dei delfini e una dichiarazione di Monica Fornari sull’ accorpamento del CFS.)

CORSI E RICORSI, MASCHI E REMASCHI

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Storia delle leggi sulla caccia del Regno costituzionale d’Italia nei 60 anni antecedenti l’elezione di Mussolini, presidente del consiglio e duce mitizzato di “maschi italici”

La questione della protezione della fauna selvatica alla fine del secolo XIX, era fortemente condizionata dall’assenza di una legge unitaria. Le disposizioni legislative sulla caccia erano ancora quelle vigenti negli antichi Stati Italiani: leggi borboniche, pontificie, toscane, austro-ungariche, napoleoniche etc.; i Comuni, dopo l’unità, avevano reclamato  perché una molteplicità di norme differenti erano portatrici di confusione e contraddizioni, ma gli interessi distinti delle singole province e la scarsa consapevolezza della necessità d’uniformare disposizioni e regolamenti portarono ad una situazione d’emergenza. A ciò si tentò di riparare a fine ‘800 con un’infinità di progetti e proposte, in linea con gli accordi internazionali e il nuovo Codice Penale, che furono presentati al Parlamento con cadenze quasi annuali, ma con esiti negativi. Così, tolta la parentesi dell’accordo con l’Austria-Ungheria per la protezione degli uccelli nel 1893, trascorsero trenta anni pieni di proposte, dibattiti, progetti e disposizioni , ma con un nulla di fatto. “L’Italia nostra, unita politicamente e chiamata a libertà dopo tanti secoli di servaggio e divisione, se ha pensato a promulgare una infinità di leggi (finanziarie specialmente), se ha provvisto ad unificare le varie leggi più essenziali al politico reggimento, non fu invece ugualmente sollecita di provvedere all’unificazione di quelle leggi, che parevano di minore importanza. ”Una legge sulla caccia avrebbe dovuto avere quale fondamento l’utile dell’agricoltura intesa come bene comune. L’utile nazionale non doveva essere infatti in alcun modo subordinato alle consuetudini, che spesso venivano elevate al carattere di diritto dagli amanti della caccia e dagli ignoranti in materia. Ed intanto “il nostro patrimonio venatorio lentamente dileguavasi, la selvaggina perseguitata, distrutta senza modo, senza misura diminuiva in modo impressionante” tanto che nel 1896 l’onorevole Tassi portava alla Camera dei Deputati un progetto di Legge, presto ritirato, che vietava in modo assoluto l’esercizio della caccia fino a che non ci fosse stata la promulgazione della Legge unica! Nel 1904 una apposita Commissione Reale  approfondisce soprattutto le norme volte ad impedire l’ampia e troppo rapida distruzione della selvaggina e per “infrenare certe barbarie, e magari crudeli usanze di caccia, sulla guida di quel sentimento di gentilezza che deve presiedere ai costumi di un popolo civile”.

 

-Nel febbraio 1911, il Ministro di Agricoltura Industria e Commercio, on. Raineri, presentò un progetto dal titolo Provvedimenti per la tutela della selvaggina.  L’obbiettivo era sempre quello di impedire la totale scomparsa della selvaggina dal territorio italiano, ed a ciò lavorarono molti tra scienziati e cacciatori, che diedero al progetto una base scientifica e tecnica, nonché pratica. Mirava a “frenare la distruzione della selvaggina che in Italia si pratica purtroppo senza distinzione di tempo, di luogo e di modo”. L’ennesima mancata discussione in Parlamento “possiamo assicurare, senza esagerazioni di sorta, costituì un nuovo e più forte disastro per l’economia delle specie”. Le difficoltà per riuscire ad ottenere una legge unica erano dovute alla politica priva di consultazione che operavano i 69 Consigli Provinciali, forti della loro facoltà di stabilire i calendari di caccia per ogni provincia, autonomamente dal Governo ed al di fuori di qualsiasi norma o regolamento che avesse carattere generale. Derivava da ciò una vera e propria anarchia organizzativa. Tutto ciò, però, continuava ad essere ignorato o non tenuto in alcun conto dal ceto dei cacciatori, ecco perché il ministro Ranieri cercava di avocare al potere centrale quelle facoltà che fino ad allora erano esclusiva dei Consigli Provinciali. A questi si proponeva di sostituire delle Commissioni Provinciali che avessero a capo una Commissione Centrale. “La parte considerevole che la Legge verrebbe a dare all’elemento biologico rappresenta un importante progresso ed è promessa di ottimi frutti dei quali i cacciatori stessi saranno i primi a godere…”. Le disposizioni relative alla caccia erano da subordinare alla natura dei ”singoli territori ed al loro speciale contenuto zoologico, che non al criterio geografico, poichè in una vasta regione, ed in quelle Italiane specialmente, si possono realizzare le più svariate condizioni fisiografiche, corrispondenti ad altrettanta varietà di esseri viventi”. Il ministro prevedeva anche la costituzione di un Osservatorio Zoologico, il quale continuasse ed estendesse quel lavoro che era stato iniziato dall’Inchiesta Ornitologica, al fine di favorire, come già avveniva in molte nazioni d’Europa, anche per l’Italia una maggior conoscenza e ed una migliore divulgazione degli argomenti riguardanti la fauna. Inoltre veniva affrontata la questione del ripopolamento dei boschi e delle campagne, proponendo la realizzazione di vivai e stazioni di avicoltura dove si potessero anche compiere delle ricerche sperimentali. Infine erano analizzate le condizioni delle foreste inalienabili dello Stato, descrivendo per ognuna, quelli che erano i mezzi migliori (in base ai particolari climi e alle varie conformazioni del territorio) per un efficace ripopolamento. Riguardo poi l’opportunità di una data unica per l’apertura e la chiusura della stagione di caccia, si sottolineava come la diversità delle disposizioni provinciali impedisse agli agenti incaricati del controllo (Carabinieri su tutti), trasferiti di continuo da una provincia all’altra, di avere una conoscenza delle singole disposizioni e dei diversi contenuti. A ciò si accompagnava, inoltre, una perenne semi-ignoranza circa le specie di uccelli, in modo che fosse impossibile distinguere quelle che in un dato luogo e in un dato tempo venivano di volta in volta ritenute utili piuttosto che dannose. Una legge uniforme per tutto il territorio Italiano, che fosse stata allo stesso tempo chiara e semplice e che avesse potuto esser facilmente compresa ed appresa tanto dai cacciatori che dagli agenti preposti alla loro sorveglianza, avrebbe avuto molte più opportunità di essere rispettata. Una legge che continuasse invece ad agire su di un livello prettamente locale, si sarebbe sempre prestata a fraintendimenti di vario genere. Questo stato di cose era ciò che più di ogni altra cosa provocava l’indignazione delle nazioni vicine. Molti di questi paesi erano impegnati, negli anni in cui in Italia si discuteva tanto vanamente, a studiare con ogni mezzo (coi nidi artificiali e con gli allevamenti diretti) la giusta via per aiutare ed accrescere la moltiplicazione della fauna. L’urgenza di una legge unica e ben fatta, che fosse in grado di rispettare le disposizioni delle nazioni confinanti, doveva, entro breve, farsi sentire come assolutamente impellente. “Infine sommamente importa di fare cessare i lamenti e le poco benevole espressioni, che in proposito ci sono di continuo rivolte dai giornali d’Austria-Ungheria, di Germania, di Svezia ed anche di Francia”Ogni indugio ad aderire formalmente almeno alla Convenzione Europea del 19 marzo 1902, avrebbe lasciato dubitare “ad una tacita opposizione per parte del Governo del Re”, visto che trent’anni prima era stato firmato un accordo internazionale con l’Austria-Ungheria senza che si fosse prima provveduto a regolare la legislazione interna. Quando non si partecipava alle iniziative internazionali, dunque, si continuava con dissimulato imbarazzo ad invocare l’assenza di una legge nazionale.

-Nel frattempo le proposte per la nuova legge continuavano incessanti, e tra queste ci fu quella dell’onorevole De Capitani d’Arzago, Ministro per l’Agricoltura. Egli presentò il suo disegno nel febbraio del 1922, col nome di Provvedimenti per la protezione della selvaggina e l’esercizio della caccia. Con esso si stabiliva che tutte le proprietà del Demanio forestale dovevano essere considerate quali bandite di rifugio e di ripopolamento della selvaggina stanziale e che ogni provincia avrebbe dovuto avere la sua zona di rifugio.
Inoltre si disciplinava la costituzione di riserve di caccia, si vietava la caccia con qualsiasi mezzo nelle bandite, “salva la facoltà del Ministro per l’Agricoltura di permettere in via eccezionale e sotto determinate condizioni, catture di selvaggina a scopo di ripopolamento di altre terre e di protezione delle colture ed anche per destinazione al pubblico consumo”, si stabilivano i mezzi che potevano essere usati per la caccia e per l’uccellagione, proibendo assolutamente quelli che fossero essenzialmente distruttivi ed insidiosi, si stabiliva un unico periodo ordinario di esercizio della caccia per tutto il Regno e si comminava la pena del carcere per le infrazioni più gravi alle norme contenute nel disegno di legge. Nella Gazzetta Ufficiale del 9 luglio 1923 venne pubblicata la legge n. 1420 del precedente 24 giugno: prima legge unitaria sull’argomento, essa andava sotto la dicitura di Provvedimenti per la protezione della selvaggina e l’esercizio della caccia, e istituiva un registro delle associazioni dei cacciatori presso il Ministero di agricoltura. Il dibattito poteva dirsi in parte concluso, o, perlomeno, poteva ora continuare senza dover assistere all’inciviltà di una serie di disposizioni arretrate e gonfie di interessi personali che isolavano il nostro paese da uno dei pochi contesti in cui i paesi europei furono uniti.

Cronaca delle leggi sulla caccia della Repubblica parlamentare italiana nei 6 mesi seguenti alla nomina di Renzi, presidente del consiglio e politicante toscano del partito di Remaschi:

Uso autorizzato di richiami vivi (e conseguente apertura procedura d’infrazione UE n.2006/2014), attività venatoria permessa anche sulla neve,  aumentato il numero di proiettili consentiti in canna, mancata abrogazione dell’art. 842 cod. civ.(libero accesso ai cacciatori nelle proprietà private), caccia aperta alle specie alloctone, delega alla discrezionalità degli enti locali per la tutela della fauna protetta da protocolli internazionali,  abolizione di province e polizie, eliminato il ruolo dei direttori di parco, cancellato il Corpo Forestale dello Stato.

A questo ritmo involutivo, entro il decennio, del patrimonio dello Stato costituito dalla fauna selvatica disporranno liberamente squadracce di bravi agli ordini di feudatari… e dobbiamo assistere all’inciviltà di una serie di disposizioni arretrate e gonfie di interessi personali che isolano il nostro paese da uno dei pochi contesti in cui i paesi europei sono uniti.

fonte:  http://www.migratoria.it/storia-dei-primi-tentativi-di-legge-unitaria-sulla-caccia/

Antonella Giordanelli

A chi nuoce il Corpo Forestale dello Stato?

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Il Paese vive momenti assai delicati e difficili, registrando una crisi globale (economica, sociale, morale, culturale) che finisce con il lasciare ampi spazi a chi vuole vanificare le conquiste raggiunte attraverso faticose battaglie civili”. Era il maggio del 1985 e così Franco Fedeli iniziava l’editoriale di “Nuova Polizia”. Più di trent’anni sono passati, ma le sue parole rimangono di drammatica attualità. La crisi attanaglia il nostro Paese, e il mondo intero, anche oggi. E favorisce, come allora, i tentativi di coloro che, relegando in un passato ormai remoto le conquiste di civiltà, propongono discutibili riforme in nome di una ipotetica maggiore efficienza e razionalizzazione delle strutture dello Stato.

I nostri lettori sanno che “Polizia e Democrazia”, e ancora prima “Ordine Pubblico” e “Nuova Polizia”, sono da sempre state considerate con una certa diffidenza dal potere. Un potere immobile, cristallizzato su posizioni reazionarie, sospettoso verso ogni presa di coscienza dei propri diritti da parte dei lavoratori-poliziotti. Una Polizia docile, ammansita, militarizzata, dove le idee non circolano e gli operatori sono ridotti a semplici esecutori, è funzionale a certi disegni. Da questa consapevolezza è nata la storica battaglia di riforma della Pubblica sicurezza, che ha visto uniti centinaia, migliaia di poliziotti di tutta Italia, giornalisti, magistrati, uomini di cultura e docenti universitari. Una battaglia di civiltà. Poliziotti non più pedine, ma lavoratori, con doveri e diritti. Una battaglia faticosa, ma vincente, che ha condotto all’approvazione della legge 121/81. Tre i pilastri: smilitarizzazione, democratizzazione, sindacalizzazione. L’ordine pubblico è affare civile, e da civili dev’essere gestito. E non si tratta soltanto di sostituire le stellette con gli alamari riportanti le iniziali della Repubblica Italiana sulle divise degli agenti. E’ una battaglia più profonda, culturale.

La 121/81, traguardo e punto di partenza. In questi tre decenni, ai principi codificati in questa legge, oltre che alla Costituzione repubblicana, avrebbe dovuto essere ispirato ogni progetto teso alla riorganizzazione delle forze di Polizia del nostro Paese. Più moderne, più efficienti. Smilitarizzate. Ma nell’agosto di quest’anno, l’ennesima riforma della pubblica amministrazione – ci riferiamo alla legge 124/2015, che porta il nome del ministro proponente, Madia – pare far tornare indietro le lancette dell’orologio. Si tratta di legge delega, cui sarà data attuazione da decreti legislativi soltanto nei prossimi mesi. Pur essendo quindi la partita ancora aperta, nulla di buono si prospetta.

E’ l’articolo 8 a far riflettere. Tra i principi di riforma, si parla di riorganizzazione del Corpo forestale dello Stato ed eventuale suo assorbimento in altra Forza di polizia. Il Governo ha individuato quest’“altra Forza di polizia”, cui far confluire gli agenti forestali, nell’Arma dei Carabinieri; ciò comporterebbe la militarizzazione di un corpo di polizia, attualmente ad ordinamento civile. Ancora una volta, non un semplice cambio di divisa, con ritorno alle stellette. Ma un vero e proprio stravolgimento di status. Quello militare impone una serie di limitazioni a diritti costituzionalmente garantiti, legittime in quanto l’accesso a tale status avviene di norma su base volontaria. L’arruolamento obbligatorio è l’eccezione. Migliaia di agenti forestali perderebbero il loro status civile per essere coattivamente immessi nei ranghi militari. Forse li si vorrebbe più inclini “ad obbedir tacendo”? Riteniamo che non sempre la cieca obbedienza e l’acritica subordinazione siano una virtù. Ma anche se il passaggio nell’Arma avvenisse su base volontaria, il problema della soppressione di un Corpo con specifiche attribuzioni e funzioni rimarrebbe. Soprattutto nel momento storico che stiamo vivendo, nel quale decisive sono le competenze specialistiche in materia ambientale, per perseguire efficacemente i crimini ambientali, a tutti i livelli. Crimini che devastano il nostro territorio. Che inquinano irrimediabilmente acqua, terra e aria. Che lucrano con la contraffazione alimentare. Proprio nel momento in cui si sente il bisogno di maggior tutela, di maggior vigilanza contro le ecomafie, i reati ambientali, agroalimentari ed edilizi; proprio nel momento in cui inchieste e risultati investigativi dei forestali avevano raggiunto punte qualitative elevatissime, registrando il convinto apprezzamento delle magistrature competenti e della Procura nazionale antimafia, si propone quella che, nei fatti, è la soppressione del Corpo forestale e la confluenza del suo personale nei ruoli (militari) di una forza armata generalista, tra l’altro senza alcuna seria consultazione delle sigle sindacali interessate e in controtendenza rispetto alle direttive dell’Unione Europea che vede con favore i processi di democratizzazione, smilitarizzazione e specializzazione delle forze di Polizia.

Ma non basta. Oltre alla “riorganizzazione” dei forestali è prevista la scomparsa dell’altra forza di polizia, a carattere locale, impegnata istituzionalmente nella difesa dell’ambiente, ossia i Corpi di Polizia provinciale, i cui componenti dovrebbero confluire, non si sa come né quando, nelle Polizie municipali.

La prospettata riforma ha ricompattato, con qualche marginale eccezione, tutte le sigle sindacali (compreso il sindacato dei dirigenti e direttivi forestali), in una battaglia unitaria, tutt’altro che corporativa, per la rivendicazione della specificità dell’azione di polizia ambientale e della storia del Corpo, che non possono essere cancellate con un tratto di matita rossa dal Governo né dal Parlamento.

La difesa dell’ambiente ha bisogno di personale motivato, di formazione continua, di strumenti e investimenti. Ha bisogno dell’azione congiunta di una forza di Polizia nazionale e di una locale, con la magistratura. Ha bisogno di presidi collocati sul territorio in modo razionale, in particolare nelle aree rurali e montane.

Francamente, di queste riforme pasticciate e affrettate – che non prevedono alcun coordinamento interforze né lo snellimento delle burocrazie di vertice – non comprendiamo il senso, né la necessità.

Civili per natura” gridano compatti i forestali. Polizia e Democrazia è al loro fianco.

Poco prima di andare in stampa, il Consiglio dei Ministri ha approvato, in esame preliminare, il decreto legislativo, attuativo della Legge Madia, che sopprime il Corpo Forestale dello Stato. Due secoli di alta specializzazione cancellati da un provvedimento, di cui daremo conto nei prossimi numeri, che prevede il trasferimento dei Forestali nei ranghi militari dell’Arma dei Carabinieri. Fino ad ora la militarizzazione era stata voluta e disposta soltanto da un altro Governo, quello guidato da Benito Mussolini, nel 1926.

Mai come ora è necessaria unità. Unità di intenti. Unità sindacale. Unità di tutti coloro che hanno a cuore la tutela dell’ambiente.

Polizia e Democrazia è vicina a tutti i Forestali, il cui DNA – ne siamo certi – è e resterà civile, e assicura il proprio appoggio ad ogni iniziativa utile a contrastare la soppressione del Corpo.

Michele Turazza

Polizia e Democrazia

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