L’ELEFANTIACO E L’ESTINZIONE

Abbiamo letto di soluzioni utili a prendersi cura di elefanti (?) rimanendo basiti di fronte ad una manifestazione di orgoglio ad aver fomentato ed assecondato la distruzione, inutile chiamarla con altri termini del tutto impropri, del Corpo Forestale dello Stato.

Si rimane disorientati nel cercare di comprendere la logica di una operazione che stà causando non poche ansie ai Forestali, quelli veri e degni di definirsi tali, e generando, logicamente e prevedibilmente, una serie di iniziative legali e di contrasto che inevitabilmente produrranno costi, disservizi, attriti e un generale sconvolgimento del servizio prestato sino ad oggi, nel silenzio, dalle migliaia di persone che vestono la divisa del CFS.

E ritorna prepotente alla mente la risposta del Capo del Corpo alla domanda rivoltagli in Commissione al Senato, prima della promulgazione del decreto, che l’eventuale opposizione all’iniziativa in itinere non avrebbe avuto aderenti, pochi e disorganizzati, quisquilie di cui non tenere alcun conto. E torna alla memoria anche la risposta del Gen.le Del Sette che non fa mistero, nella medesima circostanza, che il non modificare la situazione relativa ai Corpi Forestali Regionali, era una qualcosa di cui il legislatore avrebbe dovuto tenere conto se, aggiungiamo, lo scopo era quello di ottenere una omogenità di servizio nella Italia intera coniugando appieno il postulato di partenza di generare qualcosa di nuovo utile a migliorare, potenziare, efficientare quanto il CFS non poteva porre in essere con le sue forze.

Usando la ragione, sulla base di quanto stà accadendo ed accadrà, non si può non rimanere delusi dal fatto che, ancora una volta in Italia, si è realizzato qualcosa che nasce incompiuta e che rischia di divenire l’ennesimo pasticcio nel quale le vittime sono al contempo Forestali e Carabinieri, contrapposti gli uni agli altri, fratelli in tante circostanze, obbligati i primi a cedere ed i secondi a vincere una guerra che non gioverà a nessuno, men che meno al cittadino.

La domanda che viene spontanea ed alla quale sarebbe gradita una risposta: ma chi al vertice del Corpo Forestale dello Stato, in via Carducci 5, ha aperto la strada al legislatore per cancellare il Corpo Forestale dello Stato ed illuso i Carabinieri ed il legislatore con le sue rassicurazioni circa la inconsistenza di avversità del personale, aveva una idea, anche pallida, dell’effettivo attaccamento alla propria divisa del personale che era sotto il suo comando? Chi, legislatore, ha messo insieme il mosaico di una pretesa riqualificazione del servizio del CFS ha capito che un quarto delle Regioni resteranno fuori da questo “miglioramento” e che, Carabinieri o no, resteranno doppioni che non è chiaro come saranno gestiti perchè non ci si venga a dire che si formeranno realtà composite utili a tenere insieme le due strutture.

Bastava forse solo un minimo di conoscenza del Corpo Forestale per comprendere che la strada che si intendeva percorrere non era destinata a facili passeggiate e che la meta che si andrà a raggiungere non sarà, molto probabilmente, quella che sarebbe stato logico raggiungere con minore dispendio di costi e di energie.

Alberto Berti

OMOLOGAZIONE

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La critica alla decisione circa lo scioglimento del CFS e il suo accorpamento con l’arma dei carabinieri non nasce da sfiducia nei confronti di questi ultimi, né da un giudizio preconcetto.

L’arma dei carabinieri, amatissima dagli italiani e da me più di tutti, è corpo dello Stato di professionalità indiscussa, ben organizzato, invidiato e copiato nei paesi occidentali, vero baluardo per le libertà dei cittadini.

Le perplessità che discendono da questa decisione del Legislatore, ma del Governo prima di tutti, non sono legate alle qualità e capacità del corpo ad quem, ma da una analisi condotta da chi conosce a fondo l’organizzazione dello stato e la scienza dell’amministrazione.

Vorrei proporre tre riflessioni concatenate logicamente l’una alle altre.

Il CFS è tra le più antiche istituzioni italiane. Vanta ben 194 anni di vita, essendo stato fondato, come è noto, nel 1822.
La prima osservazione è, dunque, perché per quasi due secoli nessuno abbia mai avuto l’idea di sciogliere questo corpo o di farlo confluire in altra istituzione?

La risposta è abbastanza semplice. Da un lato le funzioni da esso svolte sono state sempre considerate essenziali all’interesse pubblico, anzi esse si sono arricchite, dall’altro nessuno ha mai dubitato che per svolgerle fosse necessario un corpo autonomo dotato di propri saperi e cultura.

Le sue funzioni, sin dall’inizio, furono rivolte all’inizio a garantire la conservazione e il miglioramento del patrimonio forestale, oltre che a effettuare il taglio e la successiva vendita dei prodotti legnosi. Si allargarono successivamente alla selvicoltura, gestione dei boschi, controllo della caccia, rimboschimenti, lotta agli incendi boschivi, tutela delle aree protette, realizzazione di opere per la difesa idrogeologica (briglie, sistemazione dell’alveo dei fiumi, manufatti) e per la fissazione delle dune in numerose aree del Paese.

Il Corpo nasce quindi con specifiche e precipue competenze tecniche in materia di flora e di fauna. E’ da sempre il depositario e il promotore di saperi specifici e specialistici non in possesso di alcun altro organo o corpo dello Stato.

L’evolversi della cultura moderna, che ha introdotto il concetto di ecologia e ecosistema, ha spinto verso un ampliamento concettuale prima ancora che organizzativo dei compiti del CFS. Esso è diventato, così, il tutore dell’ecosistema nelle sue diverse componenti, ivi compreso l’aspetto debordante nel concetto di bene culturale, cioè il paesaggio. Ed ancora il terminale ineliminabile dello stesso ecosistema, cioè la sua utilizzazione economica sia sotto il profilo dell’inserimento di nuove attività, sia dello sfruttamento del suolo, anche per motivi alimentari, estendendo così le competenze anche al controllo della filiera alimentare.

Lo strumentario a tutela dell’ecosistema nell’accezione complessa è via via cresciuto. Il Corpo così è stato onerato di compiti specifici di polizia amministrativa e giudiziaria quale complemento alla attività di controllo, prevenzione e promozione dell’ecosistema, finendo con il determinare l’erezione a corpo di polizia.

Si deve sottolineare, però, che le funzioni di polizia sono ancillari rispetto alle funzioni fondamentali del Corpo, strumentali e non finali.

La lunga vita del Corpo e la specializzazione delle sue competenze ha determinato il fenomeno tipico di tutte le grandi istituzioni, private e pubbliche, cioè la nascita di una autonoma cultura interna.

Vorrei porre molto l’accento su questo concetto.

Per cultura intendo, secondo una visione antropologica, un processo di sedimentazione dell’insieme patrimoniale delle esperienze condivise da ciascuno dei membri di un gruppo (Morale/Valori), comprendente i codici comportamentali condivisi (morale/costumi), del senso etico del fine collettivo, e di una visione identitaria storicamente determinata. Concerne sia l’individuo in sé sia i grandi gruppi di cui egli è parte. Ciascun individuo si riconosce quale membro “di diritto”, del gruppo di appartenenza, nonché nel “patto di adesione sociale” e nelle sue regole etiche ed istituzionali volte al fine della “autoconservazione” del gruppo stesso e allo svolgimento dei suoi compiti.

Ogni gruppo organizzato di un certo rilievo elabora spontaneamente la sua cultura nella quale confluiscono i saperi tipici del gruppo, le modalità di approccio alla realtà e di risoluzione dei problemi, i modi di ragionare e di usare la razionalità, gli automatismi decisionali dinanzi alla realtà stessa e così via. Ciò è tipico non solo delle istituzioni pubbliche, ma anche private perché è innato a qualsiasi gruppo sociale. Le grandi imprese impiegano tempo ed energie per favorire la nascita e crescita di una cultura interna (l’uomo IBM, l’uomo FIAT) perché oltre che produrre computer e auto l’impresa ha bisogno di un suo ubiconsistam, una sua ragione etica al di là dei fattori economici.

Tutte le istituzioni pubbliche hanno una loro cultura del tutto diversa dagli altri: la Polizia, la Guardia di finanza, i Carabinieri, il Consiglio di Stato, la Camera, il Senato, il Governo, ciascun ente pubblico etc. Pur nell’ambito di funzioni simili o equivalenti, ciascuno di essi agisce con modalità, stilemi, automatismi razionali, obiettivi interiori diversi gli uni dagli altri.

Il primo problema è quindi che nell’accorpamento di due istituzioni una di esse è per definizione recessiva. Diviene, sociologicamente, una sub cultura, non nel senso di più scadente, ma in quello di limitata all’interno della cultura dominante, e pertanto recessiva col tempo.

La cultura dei Carabinieri, preziosa per ciascuno di noi e per il Paese, non è la cultura del Corpo Forestale. Non a breve, ma col tempo quest’ultima andrà necessariamente persa e questa non è una visione apocalittica preconcetta. Essa scaturisce dalla realtà storica e sociologica che ha da sempre conosciuto questo fenomeno.

L’aspetto più preoccupanti di questa perdita culturale riguarda i compiti specialistici di tutela della fauna e della flora, per le quali occorrono professionalità e competenze inusuali, e di tutela del paesaggio. Mi riferisco al paesaggio bene culturale e non all’ambiente quale vittima di fenomeni di inquinamento, danneggiamento etc.

La tutela del paesaggio è quanto di più lontano da una cultura repressiva di quanto si possa immaginare. Essa richiede conoscenze e sensibilità d’insieme, sensibilità anche artistica e senso del bello, il tutto estraneo all’approccio tipicamente repressivo di un corpo di polizia generalista.

La seconda osservazione si collega alla prima.

La cultura è costituita anche da saperi specialistici. La recessività di una cultura importa la recessività dei suoi saperi che a lungo andare si perdono e si annegano nei saperi della cultura dominante.

Sotto il profilo della scienza dell’amministrazione ciò si traduce nel fatto che per quanto si compiano sforzi per mantenere separati i percorsi formativi, gli approcci pragmatici, a lungo andare questi si perdono prima e si affievoliscono poi perché l’organizzazione deve compiere delle scelte prioritarie che vedono, necessariamente, soccombente la sub cultura.

Ciò è insisto nello stesso fenomeno dell’accorpamento. Se le due istituzioni fuse fossero in grado di mantenere la loro totale autonomia e indipendenza reciproca, in maniera, è fin troppo chiaro che l’accorpamento non avrebbe alcun senso perché non determinerebbe alcuna razionalizzazione delle risorse né risparmi di spesa.

Il fine della razionalizzazione e del risparmio si basa esattamente sulla omologazione della istituzione minore a quella maggiore. Esso è l’obbiettivo, dissimulato ma incombente, delle operazioni di questo tipo.

E’ illusorio ritenere che il mantenimento di accademie separate e di formazione separata serva allo scopo. L’esperienza passata ci ha insegnato che all’interno dell’organismo nuovo la sub cultura recessiva diviene sempre meno apprezzata, sino ad assorbire i meno bravi o meno motivati.

E, d’altro punto di vista, l’investimento e l’impego di risorse da parte della istituzione unificata anche a favore del corpo estraneo malamente assorbito, diviene necessariamente sempre minore.

E’ questa la terza osservazione.

Ogni corpo organizzato ha una sua missione, un suo core business. L’allocazione delle risorse segue necessariamente questa priorità, sia in termini di mezzi sia di uomini.
L’autonomia garantisce, viceversa, che il core business del corpo da sopprimere sia curato, perseguito sia pure a risorse ristrette all’interno delle quali operare le dovute scelte allocative.
Per fare un piccolo esempio un po’ provocatorio, dinanzi a emergenze di ordine pubblico siamo sicuri che non saranno utilizzati anche i Carabinieri addetti ai compiti oggi del CFS?

Il problema non è nell’immediato. Per qualche anno, credo pochi per la verità, forse tre/cinque anni, nulla di tutto ciò accadrà, mantenendo le promesse della vigilia e le buone intenzioni, mentre d’altro canto il transito degli attuali forestali garantirà per un qualche tempo anche la tradizione e il trapasso di nozioni, conoscenze e cultura. Ma poi? Quando i riflettori si saranno spenti sulla vicenda e quando la gente comincerà a dimenticare il vecchio CFS che sarà solo un ricordo sbiadito, cosa succederà?

L’automatismo di questi meccanismi supera e travalica le intenzioni umane.

CLAUDIO ZUCCHELLI

Operosa e silente la gratitudine del popolo sovrano

Finalmente il 194° anniversario della fondazione del Corpo Forestale dello Stato senza Forestali schierati in fremente immobilità di fronte a incongrui sproloqui ministeriali, senza picchetti a cariche presidenziali atte solo ad apporre firma come croce addosso all’Italia, senza cerimonie baciapilesche al santo Giovanni Gualberto gabbato.

Nel 194° anniversario della fondazione del Corpo Forestale dello Stato

per chi la divisa è pelle ed identità,
per chi “Foresta Foresta” è sulle labbra e nel cuore,
per chi la forestalità è abito mentale e modus vivendi 

l’operosa e silente gratitudine dei cittadini.

Gli infingardi aretini, romani e rumeni, strafogati di bocconi e festini, annasperanno affogando nelle loro inadempienze e incostituzionalità perché dalle estreme vette montane alle estreme punte peninsulari un sovrano ancora tutela i tutori di “questa bella d’erbe famiglia e d’animali”.

 
Dal nerorosso coagulo di nefandezza si sublima un archemico 195° anno.
VIVA la FORESTALE !
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Comitato “Foresta Foresta”